martedì 24 maggio 2011

Incidenti stradali: le compagnie non pagano più il danno morale ...

Sono stati sufficienti pochi righi di motivazione per assestare uno scossone senza precedenti al delicato equilibrio sul quale si reggeva il sistema dell’infortunistica stradale.

L'ago della bilancia pende tutto a favore delle compagnie di assicurazione, che hanno trovato niente meno che nelle Sezioni Unite della Corte di Cassazione l'alleato migliore, e forse inatteso, per ridurre in un colpo solo i costi di gestione dei sinistri con danni alla persona, in misura oscillante tra il 25 e il 50%.

Il volo del cigno del danno morale, che nell’immaginario di tutti i giuristi e nelle tabelle di tutti i Tribunali è stato per lungo tempo automaticamente associato alla lesione dell’integrità psicofisica, ci ha colti tutti alla sprovvista.

Ecco il requiem del danno morale. Lo proponiamo senza commento, nel rispettoso silenzio che le circostanze di cordoglio impongono.

Cassazione civile, Sezioni Unite, 11.11.2008, n. 26972
Viene in primo luogo in considerazione, nell'ipotesi in cui l'illecito configuri reato, la sofferenza morale. Definitivamente accantonata la figura del c.d. danno morale soggettivo, la sofferenza morale, senza ulteriori connotazioni in termini di durata, integra pregiudizio non patrimoniale.
Deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sé considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale. Ricorre il primo caso ove sia allegato il turbamento dell'animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza. Ove siano dedotte siffatte conseguenze, si rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente.
Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo. Esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza.

Le compagnie, in pochi mesi, hanno recepito l'incredibile opportunità di risparmio concessa loro e, con un sincronismo encomiabile, hanno decretato lo STOP alla liquidazione del danno morale.

Perdita secca per il danneggiato: nei programmini delle compagnie utilizzati per il calcolo del danno alla persona, alla voce "danno morale" (che l'ignaro programmatore aveva inserito nel software) i liquidatori digitano 0%.

Eppure la questione giuridica non può dirsi certo sopita.
In tema, ecco gli orientamenti espressi dalla Corte di Cassazione nel post Sezioni unite:

Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza del 12/12/2008 n. 29191
nella valutazione del danno morale contestuale alla lesione del diritto della salute, la valutazione di tale voce, dotata di logica autonomia in relazione alla diversità del bene protetto, che pure attiene ad un diritto inviolabile della persona (la sua integrità morale: art. 2 della Costituzione in relazione all'art. 1 della Carta di Nizza, che il Trattato di Lisbona, ratificato dall'Italia con legge 2 agosto 2008 n. 190, collocando la Dignità umana come la massima espressione della sua integrità morale e biologica) deve tener conto delle condizioni soggettive della persona umana e della gravità del fatto, senza che possa considerarsi il valore della integrità morale una quota minore del danno alla salute.

Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza n. 479 del 13/01/2009
la parte che ha subito lesioni gravi alla salute nel corso di un incidente stradale, ha diritto al risarcimento integrale del danno ingiusto non patrimoniale (nella specie dedotto come danno morale), che deve essere equitativamente valutato tenendo conto delle condizioni soggettive della vittima, della entità delle lesioni e delle altre circostanze che attengono alla valutazione della condotta dell'autore del danno, ancorché vi sia l'accertamento del pari concorso di colpa ai sensi del secondo comma dell'art. 2054 del codice civile.

Cassazione civile, Sezione 3, Sentenza n. 2492 del 30.1.2009
E' pacifico, altresì, al riguardo, che la liquidazione equitativa del danno morale, può essere legittimamente effettuata dal Giudice sulla base delle stesse tabelle utilizzate per la liquidazione del danno biologico, portando, in questo caso, alla quantificazione del danno morale - in misura pari ad una frazione di quanto dovuto dal danneggiante a titolo di danno biologico - purchè il risultato, in tal modo raggiunto, venga poi personalizzato, tenendo conto della particolarità del caso concreto e della reale entità del danno , con la conseguenza che non può giungersi a liquidazioni puramente simboliche o irrisorie...

Delle due l'una: la Corte di Cassazione non intende adeguarsi all'orientamento espresso dalle Sezioni Unite oppure, cosa più probabile e condivisibile, i Giudici di Piazza Cavour non interpretano il passaggio motivazione in oggetto in termini di necessaria decurtazione del quantum risarcitorio dovuto alla vittima.

La questione giuridica apre discussioni infinite e tutti noi continuiamo ad attendere un riassesto definitivo della materia, che le Sezioni Unite del novembre non ci hanno regalato.

Limitiamoci, per ora, a poche considerazioni schematiche, in appendice.

Cassazione civile, Sezioni Unite, 11.11.2008, n. 26972 prova a compiere un'operazione di riordino del sistema del risarcimento del danno non patrimoniale;

il principio ispiratore di una simile operazione è rappresentato dall'unicità della categoria del danno non patrimoniale e dell'affermato carattere descrittivo delle varie formule sinora utilizzate;

il danno biologico rappresenta una deviazione rispetto a questa impostazione perché, pur essendo una sotto-categoria del danno non patrimoniale, è destinato a mantenere un'autonoma identità, essendo espressamente previsto (con tale denominazione) da diverse fonti normative;

nell'opera di riordino della materia, allora, si è inteso far leva anche su questa autonoma e ineliminabile posta di danno non patrimoniale;

se le sofferenze accompagnano sistematicamente le lesioni fisiche, si è interpretato, allora è inutile parlare di un danno biologico automaticamente associato ad un danno morale, inteso come autonoma categoria;

si può ricomprendere nell'unica categoria del danno biologico sia il danno alla salute in senso medico-legale, sia le sofferenze psicologiche che automaticamente accompagnano qualsiasi menomazione del corpo e della mente;

un danno biologico così estensivamente inteso, che sia altresì opportunamente personalizzato al caso concreto, è idoneo a risarcire integralmente il danno alla persona, sicché un'ulteriore liquidazione del danno morale implicherebbe una duplicazione di risarcimento.

L'attuale sistema tabellare del danno biologico ha come termine di raffronto una nozione di danno biologico inteso come menomazione dell'integrità psico-fisica suscettibile di accertamento medico-legale;

è una nozione tecnico-scientifica, che non contiene in sé le sofferenze morali che ricadono ordinariamente sull'essere umano quando è affetto da qualsiasi patologia e, pertanto, è una nozione diversa da quella proposta dalle Sezioni Unite ... prova ne sia il costante ricorso fatto sinora alla separata, ma automatica, liquidazione del danno morale;

la nuova nozione di danno biologico include in sé il danno morale e non può certo trovare riscontro nelle attuali tabelle, elaborate con riferimento ad un concetto più circoscritto di danno;

volendo quantificare con le tabelle e la prassi la nuova nozione del danno biologico, si può dire che esso equivale ai valori tabellari del "vecchio" danno biologico maggiorati tra il 25 e il 50%;

de iure condito, liquidato il nuovo danno biologico in tal modo maggiorato - e poi ulteriormente adeguato (recte: personalizzato) - il danno da lesioni fisiche può considerarsi integralmente risarcito, sicché la liquidazione di un autonomo danno morale rappresenterebbe una duplicazione di risarcimento, come hanno sottolineato dalle Sezioni Unite;

de iure condendo, preso atto dell'intervenuto riordino da parte delle Sezioni Unite, bisognerà adeguare le tabelle alla nuova, più estesa, nozione di danno biologico.

Morale della favola... si può anche essere d’accordo con le Sezioni Unite, ma la decurtazione secca operata dai Centri di Liquidazione non trova davvero giustificazione!

Articolo dell'Avv. Raffaele Plenteda

Risarcimento incidenti stradali: importante sentenza della Cassazione

Il figlio di un genitore morto per incidente stradale ha diritto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale anche se all'epoca del sinistro non era ancora nato. A stabilirlo è stata la Corte di Cassazione con una sentenza in materia di assicurazioni che è stata depositata martedì scorso, 3 maggio 2011. A riportarlo è il Portale di informazione giuridica "Studio Cataldi" nel sottolineare come la vicenda processuale, che poi è sfociata in un'importante sentenza, abbia riguardato la figlia di un genitore morto in un incidente stradale che s'era visto negato il riconoscimento del risarcimento in quanto all'epoca del sinistro non era ancora nata. In prima battuta, infatti, il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale era stato riconosciuto solo alla sorella ed alla moglie della persona morta nell'incidente.

Ma la madre stessa è stata a presentare il ricorso a favore della figlia minore che, in un primo momento s'era visto negato l'accesso al risarcimento in quanto, riporta lo Studio Cataldi, era stata giudicata "priva della capacità giuridica alla data dell'evento dannoso". Ma la Cassazione ha ribaltato tutto.

È infortunio sul lavoro anche l’incidente stradale che si subisce mentre si va a riscuotere lo stipendio

(ASAPS), 24 maggio 2011- Può costituire infortunio in itinere l’incidente stradale che si subisce durante il tragitto effettuato per andare a riscuotere lo stipendio. A deciderlo la Sezione Lavoro del Tribunale Civile dell’Aquila con la sentenza n. 145 depositata lo scorso 11 aprile 2011 che ha condannato l’INAIL a corrispondere un indennizzo per danno biologico ad un lavoratore che, di ritorno da un cantiere, si stava recando a riscuotere lo stipendio nella sede della impresa da cui dipendeva, rimanendo ferito in un sinistro stradale durante il tragitto.
Il Tribunale, dopo aver ribadito, tra i requisiti necessari per l’indennizzabilità, la sussistenza di un nesso (almeno occasionale) tra l’itinerario seguito e l’attività lavorativa, nonché la necessità dell’uso del veicolo privato, ha specificato che l’unico limite alla copertura RC auto è costituito dal cosiddetto “rischio elettivo”, ossia quello che, estraneo e non attinente all’attività lavorativa, sia dovuto ad una scelta del lavoratore, il quale, volutamente, crea ed affronta una situazione diversa da quella inerente al proprio lavoro, interrompendo il collegamento tra lavoro, rischio ed evento. Secondo i giudici del foro abruzzese “il presupposto dell’occasione di lavoro “deve ravvisarsi anche in relazione all’infortunio occorso durante il tragitto per recarsi sul posto di lavoro per riscuotere lo stipendio, ove verificatosi in concomitanza della fine dell’orario di lavoro. Infatti, poiché nel concetto di posto di lavoro rientra senz’altro la sede dell’impresa datrice di lavoro e la riscossione dello stipendio è comunque attinente allo svolgimento del rapporto di lavoro, in simile evenienza si configura un vero e proprio rapporto finalistico o strumentale tra l’attività di locomozione e di spostamento (tra luogo di abitazione e luogo di lavoro e viceversa) e l’attività comunque attinente la prestazione lavorativa, rapporto che di per sé è sufficiente ad integrare quel “quid pluris” richiesto per l’indennizzabilità dell’infortunio in itinere” (ASAPS)

giovedì 5 maggio 2011

Lasciò la sua auto in divieto di sosta condannata per concorso in omicidio

I divieti di sosta contribuiscono a rendere le strade più sicure. E chi parcheggia selvaggiamente rischia una condanna per concorso in omicidio. Parla chiaro la sentenza con cui il gup Luigi Varanelli ha inflitto sei mesi di reclusione a una donna che parcheggiando in prossimità di un incrocio in via Castelbarco, a Milano, il 16 luglio 2009 ha contribuito a provocare la morte di un motociclista di 29 anni, anche se a investirlo è stata un'altra macchina perché chi era al volante non ha rispettato la precedenza. Un terzo imputato, che pure aveva parcheggiato la propria auto in divieto di sosta, è stato rinviato a giudizio.

È questo l'esito dell'inchiesta del pubblico ministero Gianluca Prisco, che sulla base della dinamica dell'incidente, avvenuto nella notte, aveva chiesto di mandare a processo per tre automobilisti con l'accusa di concorso in omicidio colposo in violazione del Codice della strada. Secondo quanto ricostruito nel capo di imputazione, quella notte uno straniero alla guida di una Toyota Avensis, impegnando l'incrocio in via Castelbarco a una velocità di circa 25 chilometri orari, non ha rispettato la precedenza anche "perché aveva la visuale parzialmente ostruita dalla sosta irregolare" di una Bmw X3 e di una Kia Picanto, parcheggiate proprio in prossimità dell'incrocio. Lo straniero è finito contro il motociclista che arrivava da destra a forte velocità, 91 chilometri orari nonostante l'ora notturna.

A giudizio di Prisco, i due parcheggiatori selvaggi hanno concorso nell'omicidio del 29enne per non aver osservato l'articolo 158 del Codice della strada sul divieto di sosta che impone a ogni automobilista l'obbligo di assicurarsi che dal luogo scelto per parcheggiare "non possa derivare pericolo per l'incolumità delle persone". La condanna a sei mesi di reclusione per la proprietaria della Kia parcheggiata male è stata inflitta con rito abbreviato, dunque con lo sconto di un terzo della pena. Alla donna è stata concessa la sospensione condizionale. Lo stesso vale per l'investitore, che invece ha patteggiato nove mesi di reclusione.

lunedì 2 maggio 2011

I falsi miti sugli incidenti stradali

I FALSI MITI - Oltre all’ impegno calante c’è una mancanza di informazione che coinvolge politici e media, e che lascia gli automobilisti, che maggiormente potrebbero risolvere il problema, alla generica, onnipresente e totalmente inutile raccomandazione alla prudenza. Nascono così i miti: cercheremo con l’aiuto delle statistiche di smascherarne i dieci principali.

Le autostrade sono le strade più pericolose.

Le autostrade contribuiscono a non più del 10% dei morti in incidenti stradali. Il resto invece viene equamente distribuito tra strade extraurbane e strade urbane. Le strade più pericolose (quelle per cui si ha un tasso di morti per incidente più alto) sono le extraurbane dove spesso si hanno velocità simili a quelle autostradali ma nessun guardrail a dividere le due corsie (l’80% dei morti avviene su strade di questo tipo). Chi quindi mette le cinture di sicurezza solo in autostrada farebbe bene ad allacciarle anche quando sta a due passi da casa.

Gli incidenti mortali avvengono soprattutto di notte.

Le ore peggiori per gli incidenti mortali sono quelli del ritorno a casa dopo lavoro (dalle 16 alle 19) con una frequenza di morti che è quasi tre volte quelle delle ore della notte. È vero invece che il tasso di mortalità è più alto ma il numero dei veicoli che si muove è molto molto più basso. Il problema dei morti sulle strade è dovuto soprattutto alle stragi del sabato notte. Nelle notti di sabato del 2006 si sono avuti 148 morti, pari ad appena il 2% di tutte le vittime della strada. In particolare anche contando le vittime delle notti del week end non si arriva a quelle delle notti degli altri giorni della settimana. Il fenomeno quindi, strombazzato da tutti i media, è molto meno rilevante di quanto si creda.

I morti negli incidenti stradali sono dovuti soprattutto agli scontri frontali.

Gli scontri frontali sono stati responsabili nel 2006 di 893 morti ma non sono la causa maggiore. Molto di più lo sono stati quelli frontali laterali (di fatto dovuti ad attraversamenti di incroci) e quelli legati alla fuoriuscita di un veicolo isolato. Ciò è dovuto anche al fatto che molte delle protezioni moderne (airbag, cinture, ecc.) si sono concentrate sui rischi frontali.

Gli incidenti avvengono soprattutto al SUD dove i guidatori sono più indisciplinati.

Guardando alle regioni con il più alto numero di morti si vede subito che al primo posto c’è la Lombardia con 877 (uno ogni 11.000 abitanti o uno ogni 8500 veicoli circolanti) vittime che stacca Lazio (575, uno ogni 9630 abitanti o 8400 veicoli), Veneto (553, uno ogni 8730 abitanti o 6700 veicoli) ed Emilia Romagna (539, uno ogni 7930 abitanti o 6600 veicoli). La Campania (324, uno ogni 18000 abitanti o 13200 veicoli) ha un tasso per veicoli circolanti e abitanti che è quasi la metà delle altre ed è preceduta in valore assoluto anche da Puglia (409, uno ogni 10000 abitanti o 6700 veicoli), Piemonte (404, uno ogni 10000 abitanti o 8700 veicoli), Sicilia (383, uno ogni 13000 abitanti o 10400 veicoli) e Toscana (353, uno ogni 10400 abitanti o 9800 veicoli), dimostrando per assurdo di essere una delle regioni più sicure. Ma ancor più significativo (prendendo Napoli come la città simbolo dell’indisciplina) è che vi siano più vittime nella provincia di Brescia (163) che in quella partenopea (148) nonostante quest’ultima abbia una popolazione e un parco veicoli circolante di ben 2,5 volte superiore. È evidente quindi che, o la repressione dei comportamenti indisciplinati non serve (che è assurdo) oppure che di fronte ad un fenomeno così diffuso di illegalità anche la repressione (percepita più alta al nord) in realtà è molto limitata e non incide che in maniera bassissima sulla prevenzione degli incidenti mortali.

I vecchi causano molti incidenti.

Se si vanno a considerare l’età dei conducenti morti in seguito a incidente si scopre che si hanno più incidenti in cui sono coinvolti minori di diciotto anni che maggiori di ottanta. In questo ambito non vanno dimenticati i molti, i troppi bambini o ragazzi che muoiono a bordo di un motorino o un’auto che, in base all’età, non potrebbero guidare.

I pirati della strada fanno strage di bambini.

I pedoni rappresentano un nerissimo capitolo nell’analisi degli incidenti stradali. I morti sono 758, (più delle vittime del lavoro decurtate di quelle morti in incidenti stradali) praticamente due al giorno. Se quindi per televisione sentiamo parlare di un pedone falciato dobbiamo pensare che ce ne è stato un altro di cui non si è parlato e due il giorno prima e così via. Ma il fenomeno riguarda in minima parte i bambini (il 5% ha meno di 15 anni, il 10% meno di 30) quanto piuttosto gli anziani visto che il 50% ha più di 70 anni.

L’elevata velocità è la causa principale degli incidenti.

Secondo le statistiche si possono imputare all’alta velocità solo il 12% degli incidenti (1 su 8). Invece le cause maggiori (rispettivamente per il 17 e il 15%) sono rappresentate dal non rispetto delle precedenze e dei semafori (da qui il valore altissimo di morti per scontri laterali) e la guida distratta (incrementata moltissimo dall’uso dei cellulari per telefonare o, come ci insegna Cassano, per inviare SMS mentre si è alla guida).

La sicurezza costa moltissimi soldi.

È vero il contrario, che gli incidenti, oltre al dolore per i congiunti, provocano altissimi costi sociali. La stima per il 2005 parla di 34 miliardi di euro pari a 306 euro pro capite. Un investimento che portasse ad una riduzione del solo 10% degli incidenti sarebbe pari al taglio della scuola che ha reso così impopolare la Gelmini. Tra le tante possibilità ce ne potrebbero essere una banalissima, come l’adozione, per tutte le auto dell’impianto viva voce per i cellulari (poche decine di euro per ridurre gli incidenti di quel tipo) o una molto consistente come l’incentivo a passare a un’auto più sicura e il divieto di usare quelle vecchie che non passano un certo grado della norma EURO NCAP. Si fa per l’inquinamento, si dovrebbe fare anche per la sicurezza ma si può star sicuri che l’argomento non sarà minimamente toccato nella finanziaria (se non magari per aumentare l’entità delle sanzioni).

Gli italiani sono dei bravi guidatori anche se indisciplinati.

Non tutti gli italiani sono indisciplinati ma quasi tutti sono ignoranti. Ad esempio pochissimi sanno che da quasi vent’anni vige l’obbligo di indossare anche le cinture posteriori così come poche mamme immaginano di appoggiare il loro piccolo a pochi centimetri da una carica esplosiva quando lo portano in braccio davanti all’airbag. In questo i media hanno un ruolo fondamentale: se oggi sappiamo sempre, ad ogni incidente, se il guidatore era ubriaco (causa questa importantissima di incidente) non si dice mai se un motociclista morto indossava il casco o se i bambini vittime dell’incidente erano assicurati ai passeggini o, come spesso accade, venivano lasciati sui sedili di dietro pronti a essere spediti come siluri contro il parabrezza in caso di frenata brusca o incidente. Visto che la tivù supplisce all’educazione suscitando tante paure collettive piacerebbe forse vedere una intervista alla mamma in lacrime per aver tenuto un bambino in braccio durante la tremenda frenata o colui che si porta per sempre il rimorso di una moglie deceduta per aver rallentato repentinamente, in autostrada, per vedere l’incidente sulla corsia opposta.

Incidenti stradali: il giudice può disapplicare il Cid se la ricostruzione non è credibile

Il giudice può disapplicare il modulo di constatazione amichevole (Cid), in caso di incidente stradale, se ritiene di dover escludere che il sinistro si sia verificato secondo la dinamica descritta nello stesso modulo. Questo in base ai riscontri del consulente tecnico d'ufficio e alle fotografie. Lo stabilisce la Cassazione (terza sezione civile), nella sentenza 6526/2011 depositata ieri.

La Corte chiarisce che «la dichiarazione confessoria, contenuta nel modulo di constatazione amichevole del sinistro, resa dal responsabile del danno proprietario del veicolo assicurato (...) non ha valore di piena prova nemmeno dei confronti del solo confitente, ma deve essere liberamente apprezzata dal giudice». In particolare, secondo la Cassazione, si deve applicare la norma dell'articolo 2733, terzo comma del codice civile, in base alla quale «in caso di litisconsorzio necessario, la confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorti, è, per l'appunto, liberamente apprezzata dal giudice».

documentiCassazione - sentenza 6526/11

Il caso su cui si è pronunciata la Suprema Corte è quello della richiesta di risarcimento danni presentata da un automobilista rimasto vittima di un tamponamento, nei confronti della controparte e della sua società assicuratrice per la Rca. Prima il giudice di pace, poi il tribunale di Chieti, nel 2005, avevano ritenuto che nonostante la sottoscrizione del Cid, da parte dell'automobilista che aveva tamponato e la confessione della sua responsabilità, fossero da condividere le conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, secondo cui «data la pochezza dei danni subiti dai due veicoli nel preteso punto d'urto», era da escludere che l'incidente si fosse verificato con le modalità descritte. Il tribunale aveva quindi condannato l'automobilista che si era autoaccusato, ma aveva respinto la domanda di risarcimento nei confronti della compagnia assicuratrice.

La Cassazione ha respinto i ricorsi dell'automobilsta danneggiato e dell'assicurazione, ribadendo che «in tema di responsabilità dei sinistri derivanti dalla circolazione stradale, l'apprezzamento del giudice del merito in ordine alla ricostruzione delle modalità di un incidente e al comportamento delle persone alla guida dei veicoli in esso coinvolti si concreta in un giudizio di mero fatto, che resta insindacabile in sede di legittimità, quando sia adeguatamente motivato e immune da vizi logici e da errori giuridici».

Incidenti stradali: 34 vittime a Pasqua

E' di 34 morti, 11 dei quali con meno di 30 anni d'età, il bilancio degli incidenti stradali registrati durante il fine settimana pasquale. L'anno scorso nello stesso periodo festivo i morti furono 22. I dati di polizia stradale e carabinieri rilevano che sono stati 11 gli incidenti mortali con coinvolgimento di veicoli a due ruote, pari ad un terzo del totale; il 54% del totale degli incidenti mortali è stato causato da perdita di controllo del veicolo da parte del conducente.

Alcol Esperti di diritto o di rovescio? L'avvocato "trova una falla" sui centesimi del valore alcolemico e fa assolvere il cliente che aveva 0,57 g/l

A Padava un avvocato efficiente rileva una falla nel sistema contabile della legge sul calcolo dell'alcolemia. Il concetto avanzato è il solito e semplice: poiché il valore alcolemico privisto dalla legge è 0,5 g/l il conducente che viene sorpreso con 0,57 deve essere assolto perché per superare il valore alcolemico in decimali bisogna arrivare almeno a 0,6 g/l.
«Se il legislatore — sostiene il legale — avesse inteso ricomprendere nella fattispecie vietata anche tutte quelle condotte riconducibili ad un accertamento del tasso compreso tra lo 0,51 e lo 0,59 l’avrebbe detto. Avrebbe scritto: 0,50. C’è una bella differenza. Così stando le cose, invece, la prima condotta punibile è 0,6».
Purtroppo un Giudice di Pace abbocca e assolve.
Di fronte a questa obiezione di principio - dice il Corriere del Veneto - il giudice non ha potuto fare altro (Non ha potuto far altro???) che dare ragione al ricorrente. «Il ricorso è fondato e va accolto — scrive il giudice di pace nelle motivazioni, che sono state depositate lo scorso 15 aprile —. Il legislatore infatti ha indicato tassativamente le fasce di tasso alcolemico che implicano lo stato di ebbrezza e i valori di soglia con esclusivo riferimento ai decimi, e non anche ai centesimi di litro. Ragion per cui si deve ritenere che i centesimi di litro non abbiano rilievo e che, pertanto, nella fattispecie in esame, poiché nessuna delle due misurazioni fatte raggiungeva il valore riferito alla condotta punibile di 0,6 grammi per litro il fatto non doveva essere qualificato».
Eppure bastava una piccola ricerca per scoprere che la Cassazione, sez. IV aprile 2010 n.12904 si era già pronunciata in proposito e aveva "chiuso la falla" con una pietra tombale sostenendo che per la guida in stato di ebbrezza la rilevazione dell'alcolemia tiene conto anche dei centesimi.
Infatti i giudici della Suprema Corte hanno sottolineato la totale assenza di elementi espliciti a supporto dell'interpretazione che vede nell'assenza della seconda cifra decimale l'intenzione del legislatore di chiudere un occhio sui centesimi.
Secondo le considerazioni dei giudici di legittimità, infatti, escludere la rilevanza dei centesimi nella determinazione del tasso alcolemico è errato in quanto prendere in considerazione solamente i decimi comporta un innalzamento della soglia di un decimo di grammo/litro (ammettendo in tal modo tassi fino a 1,59). O nel caso specifico a 0,59.
Il legislatore invece conosceva perfettamente l’esattezza degli strumenti di rilevazione del tasso alcolemico nel sangue e la mancata indicazione dei centesimi non indica la volontà di escludere i centesimi.
In assenza di elementi espliciti da cui possa desumersi una volontà contraria, deve, quindi, affermarsi che l’omessa indicazione della seconda cifra decimale (nel caso, peraltro, coincidente con lo zero, cifra da considerarsi non significativa tra i decimali) nulla abbia a che vedere con la volontà di approssimare ai soli decimi di grammo/litro gli accertamenti più corretti, puntuali e precisi forniti dalla strumentazione disponibile.
Insomma caro giudice di Padova prima di dar retta al primo avvocato specialista in calcoli e decimali dia una scorsa alle sentenze della Cassazione. Basta fare una ricerchina su internet come abbiamo fatto noi (può scorrere le sentenze anche nel sito dell'Asaps). Altrimenti qui si eleva di fatto la soglia dell'alcolemia e non ci pare ce ne sia proprio bisogno.
Qualcuno impugnerà la sentenza? O ci dovranno pensare come al solito i posteri trovandola ardua?


Giordano Biserni asaps